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In un momento in cui, ‘grazie’ alla globalizzazione, la civiltà dell’Occidente pare sul punto di legittimare le sue pretese d’universalità, sollevando reazioni e accesi dibattiti sullo spirito e l’identità della propria cultura, la letteratura distopica si presenta come guida qualificata all’agenda della discussione, dal momento che fin dalle origini si è assunta il ruolo di coscienza critica della propria società e voce dell’anticanone. Da Jonathan Swift a Samuel Butler a E.M. Forster, da William Morris a Margaret Oliphant a George Orwell, è impressionante la capacità della distopia di individuare lo spirito profondo della cultura borghese e di esporne lucidamente i principi essenziali dell’individualismo e del progresso, anticipandone gli sviluppi nelle varie manifestazioni del materialismo economico e atrofia spirituale contemporanei. Ma, prima ancora che dell’attualità dei temi, la grande forza di coinvolgimento di questa letteratura è il risultato della sua scrittura fantastica, capace di raggiungere, oltre l’ambito del razionale, quel fondo oscuro dove resiste il rimosso della nostra cultura del ‘avanti, avanti!’.